Salute pubblica contro salute privata

Siyum Masechet Nedarim

Nedarim ,”Voti”, è un trattato del Seder Nashim ,”Ordine delle donne”, che affronta il diritto di famiglia. I suoi undici capitoli discutono principalmente dei voti presi volontariamente, in particolare quelli che vietano azioni o oggetti specifici. Il trattato analizza le condizioni in cui i voti hanno effetto, le interpretazioni e le implicazioni dei diversi voti e il processo di annullamento o scioglimento dei voti, includendo anche discussioni su altri argomenti come la circoncisione e la visita ai malati.

A pag 80b-81a del nostro trattato si affronta il principio ebraico secondo il quale la propria salute viene prima di quella degli altri: una fonte d’acqua di proprietà di un luogo deve servire prima di tutto ai bisogni primari di quel luogo, cioè per rifornire di acqua potabile gli abitanti del posto e far bere gli animali. Certo, oltre alla necessità di dissetarsi, gli abitanti useranno l’acqua anche per altri scopi, come lavarsi e fare il bucato. Afferma il Talmud:

<< La propria vita ha la precedenza su quella degli altri. Allo stesso modo, se l’acqua era necessaria per i propri animali e anche per gli animali degli altri, i propri animali hanno la precedenza sugli animali degli altri. E se l’acqua serviva per il proprio bucato e anche per il bucato degli altri, il proprio bucato ha la precedenza sul bucato degli altri. Tuttavia, se l’acqua della sorgente era necessaria per la vita degli altri e per il proprio bucato, la vita degli altri ha la precedenza sul proprio bucato.>>

Sapevamo già che la Torà ci impone di salvaguardare la nostra vita anche a scapito di quella degli altri, ed infatti fu Rabbi Akiva a dire (Baba Mezia 62 a): “La tua vita ha la precedenza su quella altrui, come dice la Torà (Lev. XXV,36), ‘affinchè tuo fratello viva con te’”. Cioè: tuo fratello ha diritto a vedere assicurata la sua vita e la sua sussistenza, si, ma soltanto dopo che tu avrai assicurato la tua.

Eppure, se uno straniero arriva al pozzo assetato, dopo aver attraversato il deserto, a prima vista, sembrerebbe che offrire da bere per far sopravvivere qualcuno sia più importante che lavare i propri vestiti. Scopriamo invece che non è così. Rabbi Yosi affermava infatti:

<< Lavare i propri vestiti è più importante di salvare la vita di un’altra persona, perché coi vestiti sporchi (si intende di escrementi) si possono prendere delle malattie gravi, come dice Shmuel: “la sporcizia sulla testa porta alla cecità, la sporcizia sui vestiti porta alla follia”>>

Vediamo quindi che non solo la salute fisica, ma anche quella mentale è un bene prezioso da salvaguardare. Distinguiamo quindi 4 aspetti fondamentali della vita nostra e di quella del prossimo, ognuno dei quali identifica un tipo di benessere diverso del precedente. Essi sono, in ordine di importanza:

1) il primo e più basilare è la vita stessa, la sopravvivenza; 2) il secondo è l’equilibrio mentale e psicologico, la testa; 3) il terzo è il benessere fisico, la salute del corpo; 4) il quarto è il benessere economico, i soldi.

Ogni essere umano ha bisogno di questi quattro presupposti per vivere, e questi sono anche i quattro aspetti della nostra vita che vengono prima di quelli altrui. In che modo ed in quali di questi quattro ambiti possiamo o dobbiamo accettare delle privazioni per salvaguardare gli altri?

Risponde il Talmud:

4) Dobbiamo sacrificare il nostro benessere più basso nella scala di importanza, quello economico, per contribuire ad ogni tipo di benessere del nostro prossimo, sia che egli veda a rischio il suo benessere economico, o quello mentale, oppure quello fisico, ed a maggior ragione se è a rischio la sua stessa vita. Quest’obbligo ha però dei limiti: ci è vietato dedicare più di un quinto delle nostre risorse ad aiutare gli altri, per non dover poi a nostra volta aver bisogno dell’aiuto altrui (Ketubot 50 a). Persino se siamo molto ricchi, e possiamo dedicare più del 20% delle nostre risorse ad aiutare gli altri, priviamoci pure del superfluo e del lusso, ma dobbiamo comunque conservare tutto quanto il necessario per noi e per le nostre famiglie.

3) Dobbiamo sacrificare il nostro benessere fisico nel caso in cui il nostro prossimo corra un rischio mortale, ma non dobbiamo farlo nel caso in cui invece egli corra semplicemente un rischio non mortale, che sia fisico, mentale, od economico. Anche in questo caso, però, per salvarlo abbiamo il dovere di mettere a repentaglio la nostra salute in modo molto limitato. Non possiamo compiere azioni che comprometterebbero gravemente e irreversibilmente la nostra salute, ma soltanto azioni che possano causare danni indiretti al nostro corpo e alla nostra salute, e deve trattarsi comunque di danni limitati e reversibili. L’esempio proposto dal Talmud è di concedere a qualcuno che sta morendo di sete l’acqua che avevamo destinato alla nostra igiene personale (Nedarim 80b). Non lavarsi per un po’ comporta appunto un rischio per la salute indiretto, limitato e reversibile.

2) Ci è invece vietato rischiare la nostra salute mentale e psicologica per contribuire alle finanze, alla salute fisica o anche a quella psicologica altrui, tuttavia vi è una discussione nel Talmud (loc. cit.) se dobbiamo rischiare di sacrificare in qualche modo la nostra salute mentale e psicologica per salvare la vita a qualcuno che altrimenti avrebbe la certezza di morire. Alla fine prevale l’opinione che non dobbiamo rischiare la nostra salute mentale nemmeno per salvare la vita altrui.

E infine, 1) Non abbiamo l’obbligo di rischiare la nostra sopravvivenza vera e propria in nessun caso. E’ vero che la Torà ci ordina di “Non assistere inerte al pericolo del tuo prossimo” (Lev. XIX,16), tuttavia il sopra citato principio che “la tua vita viene prima” ci impedisce di metterci in pericolo per osservare quel precetto o qualsiasi altro, tranne che per le tre note e stranote eccezioni alla regola: dobbiamo essere “pronti alla morte” (non perché “l’Italia chiamò”, bensì) soltanto per evitare l’idolatria, l’omicidio e le relazioni sessuali proibite. Così stabilisce anche il Maimonide (H. Rozeach, 7,8).

Diffidiamo dunque di chi, come fanno spesso e volentieri le autorità, commette il falso ideologico di divulgare tramite i media una versione corrotta e perversa della legge e della morale: nè per legge civile, nè tantomeno per la morale religiosa, infatti, i diritti dell’individuo vengono soppressi in nome della “salute pubblica”. Leggiamo e sentiamo sempre più spesso frasi del tipo: <<Il diritto di scelta del singolo può venire meno se mette in crisi la convivenza civile, mettendo a rischio la salute pubblica, che è un interesse superiore>>. Simili affermazioni sono indice di una chiara deriva antireligiosa, illiberale ed assolutistica.

La Costituzione (art. 32) infatti è chiara in merito e relega la salute pubblica in second’ordine, dopo quella del singolo. Dice: <<La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività>>. E specifica che in nessun caso l’interesse per la salute pubblica può violare i diritti della singola persona umana: <<Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana>>. Ancora più chiara, se mai vi fossero stati dubbi in merito, è stata la Corte Costituzionale (sent. 118 del 1996) , che ha ricordato: <<Nessuno può essere chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri>>.

Stiamo attenti a non cadere in questi tranelli, perchè la legge è importante, ma ancora di più lo è il nostro retaggio culturale antichissimo che ci collega con la rivelazione e l’interpretazione della Parola Divina. Ricordiamoci sempre, dunque, che gli interessi della collettività non possono mai in nessun caso prevaricare quelli nemmeno di una singola persona umana. La società non è un’entità aliena: essa non è altro che la sommatoria di tante singole persone, ognuna delle quali ha gli stessi diritti di tutte le altre, prese singolarmente o collettivamente.